Nessun linguista europeo è stato tanto studiato e citato
come Ferdinand de Saussure. Le
ristampe del suo Cours de
linguistique générale (1916)
non si contano e non soltanto in francese: tra le ultime (2009) l’edizione
Laterza e quella della Cambridge University Press. Anche gli studi sulla sua opera
abbondano: tra i più
recenti A Guide for the
Perplexed di Paul Bouissac
(2010) e Saussure di John E. Joseph (Oxford University
Press, 2012). Negli Stati Uniti è uscito persino un Saussure for Beginners,
illustrato con fumetti (Writers and Readers Publishing).
Ma a distanza di un secolo dalla morte la figura del
linguista ginevrino seguita ad apparire enigmatica.
Nel suo recente Ferdinand
de Saussure, il linguista senza qualità Nunzio
La Fauci (Università di Zurigo) paragona Saussure al contemporaneo Uomo senza qualità di Robert Musil. Entrambi,
Saussure e il personaggio di Musil, sono scettici e problematici.
Entrambi abbozzano idee e progetti che non portano a compimento o che riluttano
a realizzare. Solo che in Saussure non si tratta di dandysmo
intellettuale.
Il suo maggior titolo di gloria , il Cours de linguistique générale, che raccoglie le lezioni tenute dal
1907 al 1911, uscì postumo nel 1916 e non fu scritto da lui. Il testo fu
redatto da due suoi discepoli, i linguisti ginevrini Charles Bally e Albert
Séchehaye , i quali usarono per la stesura i propri appunti e quelli lasciati
da altri cinque discepoli oltre che da Saussure stesso. A cosa si deve
questa riluttanza a pubblicare?
In una lettera al celebre comparatista Antoine Meillet del
4 gennaio 1894 Saussure mostra di ritenere del tutto strumentale l'impresa a
cui , “senza entusiasmo”, si era accinto: far comprendere "che cos'è la
lingua in generale”. «In ultima analisi, scrive, l'unica cosa che
conserva per me un forte interesse è l'aspetto per così dire etnografico di una
lingua, quell'aspetto pittoresco che la differenzia da tutte le altre, in
quanto appartenente ad un popolo con determinate origini».
Quella linguistica generale, che molti considerano
esclusivo merito di Saussure, nasce da un testo scritto "malgré soi”.
Quasi tutti gli esegeti del Cours hanno trascurato questo aspetto
fondamentale.
L’idea della lingua come “struttura” ovvero come un tutto
coerente (dans la langue tout
se tient) era già in nuce nella pratica dei linguisti
contemporanei di Saussure, soprattutto tedeschi, i cosiddetti “neogrammatici”.
Ma fu merito del linguista ginevrino portarla alla luce, distinguendo tra la langue, che rappresenta la
dimensione sociale del linguaggio ed è una realtà astratta, impersonale, e la parole, che è concreta e individuale.
Questa dicotomia, che che tendeva a delimitare in campo , tuttora in
discussione, della linguistica, fu assunta come un dogma dai successori di
Saussure, con ciò fraintendendo il suo vero intento, che era quello di porre
problemi più che di risolverli. Lo stesso accadde negli anni ’70 con un
revival che andò ben oltre la linguistica. Il cosiddetto
“strutturalismo” , estrapolato dal Cours,
divenne l’ortodossia dominante nelle “scienze umane” e Foucault ne fece una
nuova metafisica, che dopo la morte di Dio annunciava quella dell’Uomo.
Caso non meno sorprendente: la popolarità di Saussure si
deve alla parte più problematica e controversa, se non proprio apocrifa,
del suo insegnamento: quella nozione di “arbitrarietà del segno”
tante volte citata, più o meno a sproposito, ed arrivata persino al cinema con Prima la musica, poi le parole (2002) di Fulvio Wetzl.
Saussure definì arbitrario il segno linguistico in quanto
non c’è nessun rapporto evidente (trasparente) tra significante e significato:
ad esempio, tra l'idea di "cane" e la parola che lo designa. Ma
nel corso delle sue lezioni era tornato più volte sul concetto, chiarendo, ad
esempio, che non tutte le parole di una lingua si possono dire arbitrarie perchè
molte sono derivate o motivate etimologicamente. Tuttavia, anche per
colpa di chi aveva trascritto e revisionato il testo delle lezioni, la nozione
restava ambigua. Saussure in ogni caso sembrava escludere che ( a parte
le onomatopee) la parola potesse avere in sè qualcosa di "iconico”: fosse
cioè un’imitazione del significato , come avviene, ad esempio, con termini come
“allappare”, “goffo”, “ghirigoro”, ecc.
Senonché gli studi a cui si dedicò negli ultimi anni
finirono per contraddire le lezioni del Cours . Studiando la poesia latina
arcaica, Saussure scoprì che in queste composizioni le lettere che formano il
nome della divinità si ripetono nelle parole di ogni verso con una regolarità
quasi matematica, formando, come nel racconto di Henry James, un “disegno sul tappeto”.
Il significante, ossia il puro suono, si emancipa dal significato
assumendo un valore ulteriore , che è quello stesso della poesia.
Saussure aveva scoperto il tao della lingua? La sua reclusione
nel castello di Wufflens, a Ginevra, dove morì, il 27 febbraio del 1913,
appare sotto questo profilo emblematica.
Lucio D'Arcangelo